La Storia delle Assise della città di Napoli e del Mezzogiorno d'Italia

di Luigi Bergantino 

All’inizio degli anni ’90, nel disperato tentativo di far fronte al totale fallimento della classe dirigente napoletana, si costituirono per la prima volta le Assise di Palazzo Marigliano: un’assemblea pubblica permanente, nata su iniziativa di Antonio Iannello, Alda Croce e Gerardo Marotta, che denunciò l’assurdità dell’applicazione della legge fascista del 1929 che aveva introdotto la concessione senza gara nella legislazione sui Lavori pubblici e che si oppose strenuamente agli enormi scempi urbanistici che si andavano perpetuando.

Dopo le grandi battaglie che portarono alla rinuncia da parte dell’amministrazione comunale di Napoli alla rovinosa variante al Piano regolatore, le azioni si concentrarono contro le violazioni alla legge sulla contabilità generale dello Stato, che si verificavano attraverso le anticipazioni alle imprese prima dell’inizio dei lavori, e per l’eliminazione delle concessioni di Lavori pubblici senza gara. Infatti con la legge Merloni si tornò al rispetto della legge sulla contabilità generale dello Stato e a regolari gare d’appalto nei lavori pubblici.Il tentativo di comprendere a pieno le ragioni della degenerazione dei costumi e dei partiti, spinse i promotori delle Assise

a perseverare nello studio della grande tradizione politica meridionale, unico fondamento sul quale costruire un quadro d’azione teso a realizzare una reale riforma della democrazia. La rilettura della Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce fornì, allora, un orizzonte politico di straordinaria importanza, in particolar modo le pagine dedicate alla Rivoluzione napoletana del 1799, punto centrale della storia moderna ed esempio politico e culturale per tutta l’Europa.

La reazione che seguì spezzò uno dei momenti più luminosi della vita intellettuale meridionale, che aveva visto Napoli primeggiare in tutta Europa grazie a Gaetano Filangieri, Francesco Mario Pagano, Domenico Cirillo e cento altri. Quelle morti ingiuste e premature fecero perdere all’intera Europa una grandiosa occasione storica, quella di elevarsi a un livello sublime che solo grazie al contributo ricchissimo della cultura napoletana poteva essere raggiunto.  La scienza della legislazione di Gaetano Filangieri illuminava tutti gli stati d’Occidente e le opere di Mario Pagano venivano lette e tradotte in tutta Europa, e furono perfino presentate all’Assemblea

francese del 1789. Con la cancellazione della Repubblica napoletana, fallì anche il grande tentativo di riforma religiosa rappresentato dalla presenza nel Mezzogiorno d’Italia di vescovi filosofi e di catechismi repubblicani. Fu stroncato un momento felice per Napoli: in tutta la città primeggiava la nobiltà colta a cui appartenevano

i giganti della teoria politica europea; Voltaire inviava sonetti ad Eleonora Pimentel Fonseca, di cui Metastasio

celebrava le virtù poetiche; la conversazione ferveva tra Napoli e Parigi, dove tutti leggevano le pagine dei filosofi politici napoletani, e tra Napoli e Philadelphia con la corrispondenza e l’amicizia tra Filangieri e Benjamin Franklin. Da quel crollo il Mezzogiorno non si è mai più ripreso. Napoli oggi si presenta popolata prevalentemente da “abitatori”, persone che si disinteressano del bene pubblico e sono sordi ai richiami di quella minoranza di veri cittadini che cercano di scuotere la città dal suo profondo letargo. Se, ripercorrendo la storia di Napoli ci appare luminoso il ricordo di Federico II per il suo grande tentativo di costruire uno stato laico, si viene inevitabilmente colpiti anche dal successivo lungo ristagno caratterizzato da sei secoli di “servaggio”

in cui furono costrette le popolazioni di questo territorio; lo stesso che, prima di Cristo, aveva accolto gli splendori della civiltà della Magna Grecia. Benedetto Croce seppe distinguere la grande storia dei normanni, degli Svevi, dei re angioini e aragonesi dalla nostra storia, perché essa «non può esser quella a cui abbiamo offerto il teatro, ma l’altra, grande o piccola che fosse, che si svolse nella nostra coscienza e nei nostri travagli, nelle nostre menti e nei nostri cuori, opera della nostra volontà». Noi subimmo la grande rapina delle signorie feudali che continuò, come rapina di forze neofeudali, anche dopo il Risorgimento e che tutt’oggi imperversa ad opera di una borghesia plebea, o, come scrive Domenico Rea, di una plebe ripulita che «insegue senza posa un’allegra giornata di saccheggio». La costruzione di enormi dighe in tutto il Mezzogiorno con la brigantesca deviazione dei grandi fiumi, il cosiddetto“disinquinamento” del Golfo di Napoli, i lavori di ricostruzione

a seguito del terremoto dell’Irpinia, costituiscono colossali esempi dell’assalto all’Erario dello Stato da parte di quella borghesia parassitaria che è riuscita a condurre ad un punto di non ritorno il debito pubblico italiano.

La criminale legislazione sui Lavori pubblici, il sistema delle concessioni senza gara inventate dal fascismo con la legge del 1929 e le privatizzazioni selvagge sono i principali strumenti di questa “grande rapina”. Conseguenza di tale miserabile sistema di potere sono anche le attuali condizioni dell’Università, della scuola e della ricerca che hanno completamente tradito la loro funzione. È per reagire a questo stato di cose che una minoranza di cittadini si è costituita, per la seconda volta, nelle Assise della città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia per discutere del mortale inquinamento piombato come un’indistruttibile nube nera sulle terre un tempo fertilissime delle regioni meridionali, oltraggiate dall’incapacità di una classe dirigente incolta e insipiente, e dalla fiacchezza e inerzia mentale e morale che ormai paralizza gli uomini di cultura. Per liberarsi del fardello ormai insostenibile di questo “blocco sociale” – alleanza fra organizzazioni criminali, imprenditoria corrotta e settori deviati dell’amministrazione pubblica e della rappresentanza politica – che pesa sul collo di una popolazione ridotta allo stremo fisico e morale, soltanto una grande rivoluzione intellettuale e una diffusa autoconsapevolezza potranno inaugurare un cammino meno perverso per questo sventurato paese.

 
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